IL DOMINIO DEI
CRESCENZI
Nel Castello di Bucciniano si insediò
quindi il Conte di Sabina Crescenzio, figlio di Benedetto, a sua volta
nato da Crescenzio a Caballo Marmoreo e da Teodoranda, ma il suo
dominio durò fino a che l’Abate Ugo I di Farfa (997-1030), deciso a
recuperare i beni abbaziali che l’abate Campone aveva dilapidato, intimò
ai Crescenzi di restituire i castelli di Arci, Tribuco e Bucciniano, che
gli stessi avevano occupato.
Dopo numerosi ma vani tentativi di
raggiungere un accordo, l’Abate Ugo I decise di rivolgersi all’Imperatore
Enrico II, suo amico, chiedendogli di scendere in Italia per restituire
all’Abbazia i beni che le erano stati sottratti, ma l’Imperatore era
impegnato nella guerra contro Arduino d'Ivrea, e così si rivolse al Papa
affinché provvedesse lui stesso.
Fu così, che le mura del Castello di
Bucciniano vissero un avvenimento straordinario: un Papa, Benedetto VIII,
dapprima cercò di persuadere i Crescenzi a lasciare il Castello, poi,
resosi conto che con le buone non avrebbe ottenuto nulla, indossò la
divisa di capitano e dalla sua tenda situata presso la chiesa di
S. Sebastiano al Borgo diresse le operazioni di assedio al castello.
Un assalto diretto era però
improponibile, dal momento che superare le tre cinte murarie di difesa ad
una ad una, mentre all’interno vi era lo stesso Crescenzio pronto a
difenderle, era estremamente pericoloso.
Così il Papa decise di temporeggiare,
attendendo lo sviluppo degli eventi, e sperando che gli abitanti del
Castello si
sarebbero arresi per carenza di viveri o mancanza di armi.
Ma i magazzini erano colmi di viveri,
i pozzi traboccavano di grano, foraggio e bestiame abbondavano per
tutta la cinta delle Cellugne e di armi erano pieni gli arsenali che venivano costantemente riforniti dai fabbri del castello, i quali
lavoravano senza tregua per produrne di nuove.
Ed invero, di una sola cosa vi era
scarsità: l’acqua, le cui riserve già dopo una settimana erano talmente
ridotte che, nonostante si fosse provveduto a razionarla, si era arrivati
alla sete.
Quando ogni speranza sembrava ormai
perduta, ecco che in cielo iniziarono ad apparire enormi nuvole cariche di
pioggia, le quali sembrava stessero per liberarsi da un momento all’altro
del loro prezioso liquido per riversarlo sul castello assetato.
Crescenzio diede ordine agli uomini di
scavare buche in ogni angolo del castello, affinché si riempissero
d'acqua, e comandò alle donne di portare all’aperto ogni recipiente
presente nelle abitazioni ed anche la biancheria, affinché impregnandosi
d’acqua potesse contribuire ad integrare la riserva d’acqua.
Malauguratamente, il temporale scaricò
tutta la sua energia sulle campagne circostanti, ma nemmeno una goccia
cadde sul castello ridotto alla sete, cosicché agli abitanti non restò
altro che contemplare dall’alto delle fortificazioni il triste spettacolo
dei fossati sotto le mura che traboccavano d’acqua, mentre lo spietato
sole di luglio continuava a splendere alto nel cielo.
Molti interpretarono questo evento
come un presagio divino, e a poco a poco a tutti venne a mancare il coraggio di
proseguire la guerra, cosicché Crescenzio fu costretto a
trattare la resa: il ponte levatoio fu abbassato e lo stesso Crescenzio
prese la via del Castello di Arci, dal quale si sarebbe poi recato a Roma: era il 18 luglio dell'anno 1014.
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